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Oggi mio papà ha deciso di andarsene.
Me lo aveva già fatto capire nelle scorse settimane, ma speravo che stesse scherzando, che stesse solo facendo finta. Invece era vero.
Avevo 16 anni, era una mattina di settembre, io e mio padre avevamo appena compiuto gli anni. Lui 37 più di me. 
Andammo in Comune a prendere un documento. Appena entrati chiedemmo un’indicazione all’usciere che ci rispose in modo strano facendomi innervosire, perché mi domandai come fosse possibile che a dare informazioni mettessero un disabile con evidenti problemi di pronuncia. Ero giovane e irruento allora e mi arrabbiai. 
Mio padre continuó a camminare serafico ma rallentó il passo è mi disse:
‘Ma Roberto, secondo te non deve esserci qualcuno che si occupi anche di chi non é sano, di chi non é normale? Qualcuno che che faccia lavorare chi non é un genio e forse non é neppure intelligente? Non bisogna essere per forza bravi nella vita, non tutti lo sono. Esistono anche gli ultimi, quello che non ce la fanno, quello che non riescono. Non solo, ma esistono anche gli stupidì, gli irresponsabili, quello che sbagliano sempre. E loro non hanno il diritto ad una vita come tutti gli altri? Ad un lavoro, alla propria dignità?’
Queste naturalmente non furono le sue parole precise, ma il senso era quello. 
In questo momento sono così frastornato dalla giornata che non ricordo altri suoi insegnamenti, ma quelle brevi frasi hanno influito su tutta la mia vita, su ogni momento della mia esistenza.
Grazie papà, quel giorno mi hai insegnato il rispetto e l’amore per qualsiasi donna o uomo sulla terra, anche per i più deboli, per gli ultimi, per quelli che non sono brillanti o Smart, come si direbbe oggi.
Dalle tue parole ho imparato che non bisogna necessariamente vincere per avere una vita dignitosa, che non é obbligatorio primeggiare e che anche chi ha fatto degli sbagli merita rispetto, merita affetto, per il solo fatto di essere una persona.
Ma soprattutto quella mattina di settembre di tanti anni fa mi hai fatto capire che l’essere umano é fatto di amore per il prossimo, indipendentemente dalla religione, dal credo politico, dalle ideologie. E questo insegnamento lo porterò sempre con me, te lo prometto.
Caro papà, non dimenticherò mai le tue parole di quel giorno, non dimenticherò mai la tua infinita bontà che avevi con tutti e soprattutto non dimenticherò mai il tuo sguardo pieno d’amore per me, per tuo figlio.
Ciao papà.
Questa é una delle ultime foto che abbiamo insieme, sei proprio tu, con quel tuo sguardo ironico e vivace che ti sei portato dietro fino all’ultimo, fino a 91 anni. Ti voglio bene.

roberto silvestri

Lui é mio papà.
Non gli ho chiesto il permesso di pubblicare la sua foto, forse non sarebbe d’accordo, ma non bisogna dire proprio tutto ai genitori.
Siamo all’ospedale, per una visita. 
Sta bene, ma ha più di 90 anni e vorrei dire che é sempre lo stesso ma non é così. 
Oggi non lavoro, non scrivo, mi dedico semplicemente a lui. Sono felice di farlo, anche se non posso nascondere la tristezza che ho dentro di me. Guardadando il suo viso riaffiorano i ricordi del passato, come in un’unica immagine che riesce a comprenderli tutti insieme indistintamente, contemporaneamente.
Ci sono io. C’e lui. Ci sono i viaggi e il suo modo di farmi vedere le cose, c’è il suo carattere a volte burbero ma capace di commuoversi, ci sono i consigli e le raccomandazioni eccessive ma che ricordo una ad una e ci sono le liti e i vaffanculo da adolescente… In quell’espreasione c’è tutto questo e io lo vedo chiaramente, come se fosse scritto su un foglio bianco. 
Mentre lo guardo, seduto su questa sedia di ferro in una stanza bianca e anonima dell’ospedale, mi accorgo di non avere strumenti per accettare i suoi 90 anni, di non avere la capacità di affrontare l’inesorabilitá del tempo che passa. 
Sul tavolo di faggio dove scrivo c’è un suo ritratto di una ventina di anni fa. In fondo é davvero uguale, perché anche in quella foto ci sono io in tutte le rughe della sua pelle. Anche se non erano ancora così profonde.