Era il 2008. Da meno di un anno ero tornato ad abitare a Camogli, in una vecchia casa in Via della Repubblica. Dalle mie finestre non si vedeva il mare, così, quella mattina, uscii poco dopo l’alba come sempre, come se niente fosse. Ero abituato: mi piaceva respirare il profumo della luce azzurra del mattino.
Ma quel giorno era diverso. L’atmosfera era strana, la luce non era la stessa di sempre e il gusto della salsedine entrava nei polmoni riempiendoli di un sapore acre, penetrante, forte. In lontananza, il suono rauco del mare superava la barriera di case medievali con il suo ritmo lento e costante.
Capii subito che cosa stava accadendo. Tornai a casa, presi Victor, così chiamavo la mia macchina fotografica allora, e scesi sul lungomare, o su quello che ne era rimasto. Lo spettacolo era devastante. Non esisteva più la spiaggia, la passeggiata che avevo percorso la sera prima era completamente sommersa, le onde gigantesche colpivano con una violenza inaudita il campanile di Santa Maria Assunta e la torre del Castello della Dragonara.
Solo la bandiera resisteva. Sulla sommità della torre quel piccolo pezzo di stoffa bianca e rossa si opponeva alla furia del vento che stava devastando la città. Io la guardavo; la osservavo fissa mentre scendevo le minuscole scale a pioli sotto gli spruzzi violenti del mare in tempesta. Ero solo ed avevo paura, una paura che non mi faceva sentire il freddo dell’acqua e il rumore delle barche che sbattevano sugli scogli. Ma volevo cogliere quel momento, sicuro che lo avrei ricordato per sempre.
Ancora oggi guardo queste fotografie e sento nei polmoni il gusto della salsedine, il respiro delle onde. Ancora oggi rivedo quella bandiera e penso che la mareggiata del 30 ottobre del 2008 non è stata la prima e non sarà l’ultima, ma che Camogli resisterà per sempre.

Perché spesso le donne sono arrabbiate con gli uomini?
Con tutti gli uomini intendo.
E’ una domanda retorica, e in parte anche provocatoria, perché non tutte le donne sono in collera con il genere maschile. Lo so.
Però lo sono in molte, e lo si capisce leggendo quello che scrivono, ascoltando quello che dicono, a volte anche guardandole negli occhi.
Io penso di conoscere bene l’animo umano, di saperci guardare e rovistare dentro, e a questo proposito credo di sapere molte delle motivazioni che spesso portano le donne mature, quelle cioè che hanno attraversato diverse fasi della vita, ad avere un senso di avversione verso il genere maschile, verso chi in qualche modo le ha fatte soffrire.
Nella maggior parte dei casi hanno ragione.
Purtroppo il mondo del lavoro spesso dimostra quotidianamente le differenze di genere nei rapporti. La famiglia a volte è un vero inferno per le donne oppure le porta a dover sopportare comportamenti sbagliati e inadeguati. Infine i rapporti d’amore: spesso le donne hanno compagni che continuano, per tutta la vita, ad essere i ragazzini che hanno conosciuto nell’adolescenza, senza un minimo di crescita.
Ma tutto ciò è irreversibile, inevitabile?
Perché qualche delusione, anche se cocente, deve essere in grado di cambiare il modo di vedere l’intero genere maschile?
Questo secondo voi non significa perdere la speranza?

Ho sempre amato mascherarmi.
Anzi “ingiarmarmi” come mi ha sempre detto mia madre con una parola genovese decisamente onomatopeica.
Ho sempre invidiato gli attori perché per alcuni momenti della propria vita possono essere qualcun altro, interpretare un ruolo diverso da loro stessi.
Che noia essere sempre uguali.
Io vorrei poter vivere decine di vite, di esistenze, di situazioni e perché no, anche di comportamenti.
Il desiderio del cambiamento è sempre stato presente dentro di me, ha sempre fatto parte del mio modo di pensare e di guardare tutto ciò che mi sta intorno.
Mi ha dato infiniti entusiasmi per tutte le nuove avventure che ho iniziato. A volte sono state serie, importanti, altre volte invece solo giochi, piccole cose che sono servite, e continuano a servirmi anche adesso per proiettare la mia vita verso il futuro.
Amo questo modo di essere.
Negli anni ho scoperto alcune cose che voglio mantenere stabili, conservarle per sempre e tenerle ben ancorate alla mia vita, ma ci sono ancora tantissime strade da esplorare che mi aspettano.
E voi? Che cosa ne pensate?

roberto silvestri

Lui é mio papà.
Non gli ho chiesto il permesso di pubblicare la sua foto, forse non sarebbe d’accordo, ma non bisogna dire proprio tutto ai genitori.
Siamo all’ospedale, per una visita. 
Sta bene, ma ha più di 90 anni e vorrei dire che é sempre lo stesso ma non é così. 
Oggi non lavoro, non scrivo, mi dedico semplicemente a lui. Sono felice di farlo, anche se non posso nascondere la tristezza che ho dentro di me. Guardadando il suo viso riaffiorano i ricordi del passato, come in un’unica immagine che riesce a comprenderli tutti insieme indistintamente, contemporaneamente.
Ci sono io. C’e lui. Ci sono i viaggi e il suo modo di farmi vedere le cose, c’è il suo carattere a volte burbero ma capace di commuoversi, ci sono i consigli e le raccomandazioni eccessive ma che ricordo una ad una e ci sono le liti e i vaffanculo da adolescente… In quell’espreasione c’è tutto questo e io lo vedo chiaramente, come se fosse scritto su un foglio bianco. 
Mentre lo guardo, seduto su questa sedia di ferro in una stanza bianca e anonima dell’ospedale, mi accorgo di non avere strumenti per accettare i suoi 90 anni, di non avere la capacità di affrontare l’inesorabilitá del tempo che passa. 
Sul tavolo di faggio dove scrivo c’è un suo ritratto di una ventina di anni fa. In fondo é davvero uguale, perché anche in quella foto ci sono io in tutte le rughe della sua pelle. Anche se non erano ancora così profonde.