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Mio figlio non è un campione di sport, non vince le gare, le partite, non è richiesto da questa o quella squadra, non ha un allenatore che lo adora, non va ai campionati in giro per l’Italia…insomma, è un ragazzo normale.

In realtà no.
Non è affatto un ragazzo “normale”.

Ha una montagna di qualità come quasi tutti i ragazzi. Come tutti i genitori potrei passare ore ad elencare le sue doti ma una mancherebbe: non ha la competizione nel sangue e non sente il desiderio di essere il più bravo di tutti, di “massacrare” gli altri nello sport.

Ma perché scrivo questo?

Lo scrivo perché sono un po’ stufo di sentire i racconti di altri genitori che raccontano le gesta eroiche dei figli nello sport quando ti incontrano, quando ti rivedono anche dopo anni, quando li incroci per caso.
Non so mai cosa rispondere: il figlio degli altri ha sempre vinto un campionato, ha sempre una finale da fare, costringe sempre la famiglia a non fare qualcosa perché deve allenarsi per un’occasione importantissimo.

Mio figlio no.
E’ pigro? Per niente.
Non gli ho insegnato la competizione da piccolo?
Forse.
E’ diverso dagli altri?
Non credo proprio.

Semplicemente non è cresciuto con lo spirito competitivo nel sangue. Ho cercato in tutti i modi di non trasmetterglielo, convinto che sarebbe stato più sereno se non avesse avuto questo incubo per tutta la vita. I nostri ragazzi sono continuamente perseguitati dalla necessità di primeggiare, di sentirsi meglio degli altri, a volte questo diventa un vero problema psicologico e quello che penso è che gran parte della colpa in questo caso l’abbiamo proprio noi genitori. Soprattutto quando cerchiamo di riprodurre nella loro vita ciò che non siamo riusciti a fare noi stessi, e questo è un atteggiamento che dilaga tra i padri purtroppo.

Sapete che cosa vi dico? Che personalmente credo a meno della metà dei racconti di gesta sportive eroiche fatte dai genitori di tutti questi piccoli fenomeni dei campi da calcio, delle palestre o delle piscine. E quando sento questi racconti così enfatizzati, il più delle volte provo un po’ di pena per quei figli, per la fatica che devono fare ogni giorno per soddisfare i sogni del papà.
Alla frustrazione che li accompagna e li accompagnerà per tanti anni della loro vita.

Lo sport è una cosa diversa, è una passione che deve crescere in modo autonomo nei ragazzi, senza avere influenze così pesanti da parte dei genitori, senza essere un obbligo che serva a coprire sogni di mamma e papà. Fortunatamente per molti giovani è ancora così, che amano quello che fanno senza avere pressioni esterne, senza sentirsi obbligati. E in questo caso diventa davvero formativo, una parte importantissima della crescita.

Facciamo in modo che i nostri figli crescano sereni, felici, imparino ad apprezzare la propria vita, senza dover soddisfare le frustrazioni dei genitori.

In questo modo avremo fatto il nostro mestiere di genitori.

Ho ascoltato un famoso psicanalista parlare di figli, di ciò che dovremmo essere capaci di fare. Mio figlio è adolescente e io dovrei essere capace di dirgli una parola importante:

Vai

Dovrei cioè essere in grado di non ostacolare la sua volontà, consentirgli di percorrere la sua strada e costruire la propria vita senza interferenze. Sono un padre attento, a volte ingombrante. Lo so. E non è facile dire Vai a tuo figlio.
Qualche giorno fa, ho risposto ad una lettrice dicendole che, ad una certa età, é necessario allontanarsi dai figli, anche se loro non lo fanno volontariamente.
Bene, subito dopo ho pensato: ma io ne sono capace? Lo sto facendo?
Oppure predico bene ma razzolo male, come si dice. Non lo so…
Spesso penso a come erano i miei genitori, alla loro capacità di essere infinitamente più equilibrati di noi forse semplicemente perché meno consapevoli.
Mio padre ha saputo dirmi Vai, che non significava smettere di educarmi, ma saper osservare il mio cammino standomi a fianco. Ogni giorno mi domando se sarò in grado di fare la stessa cosa.
E voi? Ne siete capaci?