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L’esempio dei nostri ragazzi

Parlo tutti i giorni con mio figlio. Quando è da sua mamma usiamo skype, questa settimana fortunatamente è con me e così possiamo anche abbracciarci ogni tanto. Anche se lui non vorrebbe, perché le regole dicono che non si deve fare. E lui è ligio, come tutti i suoi amici, come tutti i ragazzi.

Ha 18 anni.
Quell’età che tutti invidiamo.

Lo guardo e penso che nel suo cuore starà scalpitando perché vorrà uscire, incontrare gli amici, andare al mare, divertirsi. Invece aspetta. Pazientemente. Fa quello che gli hanno detto di fare per sconfiggere il Virus. Come tutti i ragazzi. Come tutti quei ragazzi che non hanno voglia di studiare, che sono irrispettosi, maleducati, che passano le giornate al telefonino o alla playstation, che si vestono con i pantaloni strappati, che fanno tardi alla sera, che sono viziati, che avrebbero bisogno di fare il militare e forse anche una guerra per “non avere grilli per la testa”.

Ed ora la loro guerra ce l’hanno.
E ci stanno insegnando come combatterla.

Quando esco per fare la spesa mi guardo intorno. La città non è completamente deserta. Conto sempre qualche decina di persone. Ma non c’è un ragazzo. Mai. Perché loro seguono le regole e se gli hanno detto che non si deve uscire, loro non lo fanno. E quando io devo andare al supermercato, mi controlla la mascherina, mi ricorda di mettermi i guanti e mi chiede se davvero è necessario, se non posso rimandare perché non si deve aiutare il Virus a distruggerci.

Lui ha già imparato.
Io no.

Lui, come tutti i suoi amici, ha già trovato come sopravvivere. Sa usare la tecnologia, sa mantenere le relazioni con quel telefonino che tutti i giorni minaccio di buttare dalla finestra, sa fare lezione online, sa chiudersi nella sua stanza e studiare quando serve. Si è anche fatto crescere la barba, una di quelle barbe acerbe che rendono il suo volto ancora più giovane di qualche settimana fa. Lui sa vivere lo stesso, anche se non può uscire. E in questa settimana lo sta insegnando anche a me, con la sua preoccupazione, con la sua paura per il futuro, con il suo timore per non sapere che cosa accadrà tra sei mesi. Ma lui ha già imparato ad adattarsi, a seguire le regole e modificare i propri comportamenti in base a quello che sta succedendo. E’ diventato resiliente, per usare una parola molto di moda. Ed io, che questa settimana ho la fortuna di averlo tutti i giorni davanti a me, sto imparando da lui.

Grazie figlio mio.
Grazie a tutti i ragazzi come te.
Abbiamo molto da imparare da voi.

Da Wuhan Milano ci sono 8.648 chilometri: una distanza maggiore del raggio della terra. Tutte le volte che sono stato in Cina ho sempre avuto la percezione di questa distanza, di come il popolo italiano e quello cinese avessero caratteristiche non paragonabili uno con l’altro. In fondo anche in queste settimane ho continuato a pensarlo, come se la guerra contro questo Virus potesse essere combattuta autonomamente. Poi ho guardato queste due foto. Sono le immagini di due infermiere dopo essersi tolte le mascherine e lo schermo trasparente che portavano davanti al viso mentre lavoravano. A Milano e a Wuhan. Le piaghe dei loro volti sono identiche, i loro volti raccontano dei turni massacranti, della loro dedizione totale, del loro impegno senza sosta nel tentativo di salvare vite umane. Hanno entrambe trascorso ore ed ore senza potersi toccare il viso, senza andare in bagno, senza mai distrarsi un momento per non rischiare loro stesse di essere infettate.Ma la cosa che spiegano meglio queste due immagini, è che in fondo quelle migliaia di chilometri sono solo un numero. Queste due immagini ci raccontano che di fronte ad una battaglia così importante non esistono confini, non esistono differenze, non esistono culture. Esiste solo il genere umano e una guerra comune da vincere tutti insieme. Non dimentichiamocelo quando sarà passato il Corona Virus.

Mio figlio per una settimana non andrà a scuola. Come tutti i ragazzi della Liguria, del Piemonte, della Lombardia e di non so quante altre regioni d’Italia, starà a casa fino al 2 marzo. Anche per me la settimana non sarà molto diversa. Molti appuntamenti sono stati annullati e nei prossimi giorni andrò meno in giro. Questo significa che io e lui staremo più insieme del solito. Deve studiare, e lo farà stando seduto di fronte a me per molte ore, mattina e pomeriggio. Non mi interessa se l’idea di lasciarlo a casa sia un’iniziativa giusta o meno contro il Corona Virus, è quello che ci chiede il Governo e io non voglio discuterlo, ma il risultato per me sarà comunque positivo perché questa sosta forzata aggiungerà qualcosa al nostro rapporto. Non capita spesso di “lavorare” insieme ai propri figli, se ci pensate stiamo con loro solo quando siamo in vacanza, quando li accompagniamo da qualche parte o li andiamo a vedere alle partite, oppure quando a malavoglia vengono con noi a qualche noiosa cena con amici o parenti. Oggi invece, dopo il primo giorno di “lavori forzati”, mi rendo conto che per la prima volta abbiamo passato un giorno intero insieme, ma non un giorno di vacanza: un giorno normale, senza niente di particolare, senza sciare, visitare qualcosa, senza viaggiare, senza giocare. Semplicemente lavorando e stando ognuno al proprio tavolo come se fossimo in biblioteca; immersi nel proprio lavoro e scambiandoci solo qualche parola ogni tanto per non perdere la concentrazione oppure desiderando di fermarci ogni tanto per dire qualche battuta come due vecchi amici per riprendere un po’ di fiato. Non so se sarebbe mai capitato se non fosse capitata questa disgrazia del Corona Virus; ed ovviamente mi dispiace infinitamente per le vittime, per chi ne è stato colpito e per tutti i disagi che sta creando alla comunità. Ma sento che grazie al Corona Virus capirò qualcosa in più di mio figlio, e questo forse è l’unico aspetto positivo di questa infinita tragedia.