Autobus affollato, lei seduta di fronte a lui, avranno 16 anni, parlano come se fossero soli.

Lei: ‘a me non me ne fotte un cazzo se lei ti si fa, ma non deve farlo davanti a me, se prima mi ti sono giá fatta io’ (giuro…proprio così).
Lui: ‘ma allora anche lei…’
Lei: ….e certo, cazzo.
Lui: ‘quindi é solo questione di chi c’é prima’
Lei: Certo, infatti ora appena arriva Nico me lo faccio subito così quando arriva Chiara non puó farci niente, piuttosto aspetto con due ore d’anticipo per farmelo prima’

…purtroppo a questo punto sono scesi, ma la lezione é stata sufficente.

Doom Generation.

Quando aveva 4 o 5 anni mio figlio aveva scelto Peter Pan come film preferito e lo guardava in continuazione. Era una bella storia, una storia di quelle che ti lasciano il sorriso. Come tutti voi….anche io sono stato costretto a rivedere quel film un milione di volte al mattino, alla sera, al pomeriggio, quando ero stanco e mi si chiudevano gli occhi o quando volevo rilassarmi leggendo il giornale. ‘Papà, vieni sbrigati che ora combattono con i pirati’ ‘…eccomi’.

A distanza di anni però devo dire che quel cartone mi ha lasciato un’eredità importante: il ‘pensiero felice.’
Peter Pan infatti, insegna ai suoi nuovi amici ad avere un ‘pensiero felice’ per proteggerci nei momenti difficili, per tirarci su, per dimenticare qualcosa che ci rende tristi. A distanza di tanti anni (ora il pupo ha 17 anni ahimè….) trovo che nella sua apparente banalità, questo sia un metodo straordinario per superare le difficoltà della vita indirizzando i nostri pensieri verso qualcosa che ci aiuta a superarli. Uno psicologo forse lo direbbe in modo più forbito, ma io credo che il concetto sia chiaro anche in questo modo.
Io nella mia vita ho accumulato molti pensieri felici e uno di quelli ai quali penso di più sono i momenti in cui mi rifugio in mezzo alla natura, nella mia amata Lapponia, in una piccola casa sul fiume in cui ritrovo me stesso e raccolgo le mie forze per tornare e ricominciare.

Io ho divorziato dopo sette anni di matrimonio.
Mia mamma è stata sposata 65 anni, prima che mio padre mancasse.
Perchè le coppie di un tempo resistevano così a lungo mentre oggi i dieci anni di matrimonio sono una chimera?
In realtà la ragione è molto semplice, quasi banale.

Il matrimonio dei nostri nonni era una piccola società: l’uomo lavorava per portare il denaro alla moglie che faceva la spesa e si occupava di casa e figli. Erano COSTRETTI ad impegnarsi a superare tutte le difficoltà (e a volte a sopportare delle angherie) perché non esisteva alternativa. Se l’uomo fosse rimasto da solo, non avrebbe saputo cucinare la pasta al burro e se la donna non fosse stata maritata non avrebbe trovato i soldi per comprare quel pacco di pasta da cucinare. Dovevano collaborare e conveniva farlo cercando di stare meglio possibile. Per questo nei matrimoni si festeggiavano spesso le nozze d’oro.

Oggi è molto diverso.
Gli uomini sanno fare la spesa e preparare la pasta oltre che lavorare. Le donne hanno imparato a guadagnarsi da vivere oltre che ad occuparsi dei figli e della casa. Oggigiorno, quando un uomo ed una donna si sposano, non lo fanno più per riuscire a vivere ma per RICERCARE LA FELICITA’. Per trovare una persona che migliori la loro vita. Non perché ne hanno bisogno, non perché è indispensabile. Oggi ci si sposa per il desiderano stare meglio, di essere FELICI.
Per questo motivo, quando ci si accorge che quell’obiettivo non è più raggiungibile, non si trova nessuna ragione per non divorziare. Perché ognuno sa di poter vivere anche da solo. Così ci si lascia. E spesso lo si fa anche con leggerezza, consci della propria capacità di sopravvivere anche da “single”.

Questa è la ragione per la quale i matrimoni di oggi durano pochi anni mentre quelli di cento anni fa erano eterni, nient’altro. In fondo la ragione è molto semplice.

Io non so se tutto questo sia un bene o un male, sicuramente è bene rendersene conto per capire che la FELICITA’ è qualcosa da conquistarsi ogni giorno con fatica, anche con la persona che si ama.

Ottavia, una città in cui tutto è sospeso, un luogo nel quale non esiste nessuna certezza, perchè non esiste una superficie solida sulla quale appoggiare i piedi.
In fondo è simile a come ci sentiamo oggi: instabili.
(Da Italo Calvino, Le città invisibili).

Perché spesso le donne sono arrabbiate con gli uomini?
Con tutti gli uomini intendo.
E’ una domanda retorica, e in parte anche provocatoria, perché non tutte le donne sono in collera con il genere maschile. Lo so.
Però lo sono in molte, e lo si capisce leggendo quello che scrivono, ascoltando quello che dicono, a volte anche guardandole negli occhi.
Io penso di conoscere bene l’animo umano, di saperci guardare e rovistare dentro, e a questo proposito credo di sapere molte delle motivazioni che spesso portano le donne mature, quelle cioè che hanno attraversato diverse fasi della vita, ad avere un senso di avversione verso il genere maschile, verso chi in qualche modo le ha fatte soffrire.
Nella maggior parte dei casi hanno ragione.
Purtroppo il mondo del lavoro spesso dimostra quotidianamente le differenze di genere nei rapporti. La famiglia a volte è un vero inferno per le donne oppure le porta a dover sopportare comportamenti sbagliati e inadeguati. Infine i rapporti d’amore: spesso le donne hanno compagni che continuano, per tutta la vita, ad essere i ragazzini che hanno conosciuto nell’adolescenza, senza un minimo di crescita.
Ma tutto ciò è irreversibile, inevitabile?
Perché qualche delusione, anche se cocente, deve essere in grado di cambiare il modo di vedere l’intero genere maschile?
Questo secondo voi non significa perdere la speranza?

Ho sempre amato mascherarmi.
Anzi “ingiarmarmi” come mi ha sempre detto mia madre con una parola genovese decisamente onomatopeica.
Ho sempre invidiato gli attori perché per alcuni momenti della propria vita possono essere qualcun altro, interpretare un ruolo diverso da loro stessi.
Che noia essere sempre uguali.
Io vorrei poter vivere decine di vite, di esistenze, di situazioni e perché no, anche di comportamenti.
Il desiderio del cambiamento è sempre stato presente dentro di me, ha sempre fatto parte del mio modo di pensare e di guardare tutto ciò che mi sta intorno.
Mi ha dato infiniti entusiasmi per tutte le nuove avventure che ho iniziato. A volte sono state serie, importanti, altre volte invece solo giochi, piccole cose che sono servite, e continuano a servirmi anche adesso per proiettare la mia vita verso il futuro.
Amo questo modo di essere.
Negli anni ho scoperto alcune cose che voglio mantenere stabili, conservarle per sempre e tenerle ben ancorate alla mia vita, ma ci sono ancora tantissime strade da esplorare che mi aspettano.
E voi? Che cosa ne pensate?

roberto silvestri

Lui é mio papà.
Non gli ho chiesto il permesso di pubblicare la sua foto, forse non sarebbe d’accordo, ma non bisogna dire proprio tutto ai genitori.
Siamo all’ospedale, per una visita. 
Sta bene, ma ha più di 90 anni e vorrei dire che é sempre lo stesso ma non é così. 
Oggi non lavoro, non scrivo, mi dedico semplicemente a lui. Sono felice di farlo, anche se non posso nascondere la tristezza che ho dentro di me. Guardadando il suo viso riaffiorano i ricordi del passato, come in un’unica immagine che riesce a comprenderli tutti insieme indistintamente, contemporaneamente.
Ci sono io. C’e lui. Ci sono i viaggi e il suo modo di farmi vedere le cose, c’è il suo carattere a volte burbero ma capace di commuoversi, ci sono i consigli e le raccomandazioni eccessive ma che ricordo una ad una e ci sono le liti e i vaffanculo da adolescente… In quell’espreasione c’è tutto questo e io lo vedo chiaramente, come se fosse scritto su un foglio bianco. 
Mentre lo guardo, seduto su questa sedia di ferro in una stanza bianca e anonima dell’ospedale, mi accorgo di non avere strumenti per accettare i suoi 90 anni, di non avere la capacità di affrontare l’inesorabilitá del tempo che passa. 
Sul tavolo di faggio dove scrivo c’è un suo ritratto di una ventina di anni fa. In fondo é davvero uguale, perché anche in quella foto ci sono io in tutte le rughe della sua pelle. Anche se non erano ancora così profonde.