roberto silvestri

Lui é mio papà.
Non gli ho chiesto il permesso di pubblicare la sua foto, forse non sarebbe d’accordo, ma non bisogna dire proprio tutto ai genitori.
Siamo all’ospedale, per una visita. 
Sta bene, ma ha più di 90 anni e vorrei dire che é sempre lo stesso ma non é così. 
Oggi non lavoro, non scrivo, mi dedico semplicemente a lui. Sono felice di farlo, anche se non posso nascondere la tristezza che ho dentro di me. Guardadando il suo viso riaffiorano i ricordi del passato, come in un’unica immagine che riesce a comprenderli tutti insieme indistintamente, contemporaneamente.
Ci sono io. C’e lui. Ci sono i viaggi e il suo modo di farmi vedere le cose, c’è il suo carattere a volte burbero ma capace di commuoversi, ci sono i consigli e le raccomandazioni eccessive ma che ricordo una ad una e ci sono le liti e i vaffanculo da adolescente… In quell’espreasione c’è tutto questo e io lo vedo chiaramente, come se fosse scritto su un foglio bianco. 
Mentre lo guardo, seduto su questa sedia di ferro in una stanza bianca e anonima dell’ospedale, mi accorgo di non avere strumenti per accettare i suoi 90 anni, di non avere la capacità di affrontare l’inesorabilitá del tempo che passa. 
Sul tavolo di faggio dove scrivo c’è un suo ritratto di una ventina di anni fa. In fondo é davvero uguale, perché anche in quella foto ci sono io in tutte le rughe della sua pelle. Anche se non erano ancora così profonde.

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